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Sniper

Pavel Hak e la rappresentazione letteraria dei crimini di guerra

Lo Stato non è mai abbastanza brutale. L’esercito non reprime mai abbastanza chi passa all’atto. Ho caricato il fucile. Che cosa sperate? Ho tirato per la prima volta. Il delinquente che aveva alzato il martello per dare l’assalto allo Stato è caduto stecchito. Sputando sangue. Stupito di vedere che il monumento che voleva smantellare aveva ancora il potere di ucciderlo. Crepa, rivoltoso! Con gli occhi fuori dalle orbite e la faccia sbattuta nel fango, il detrattore agonizzava. Forse voleva proferire le ultime ingiurie, ma riusciva solo a mugugnare. Grugniti di maiale sgozzato gorgogliavano dalla sua bocca in poltiglia. Primo ad alzare il martello contro lo Stato, primo a cadere con il cranio fracassato. Giusto? Lo Stato deve difendersi, la Storia lo prova.

Un romanzo duro, allucinato, intenso. Si tratta di Sniper, di Pavel Hak, pubblicato in Italia da Transeuropa Edizioni e tradotto da Silvia Contarini. La storia si sviluppa in tempo di guerra, in un paese indefinito, probabilmente balcanico, molte immagini evocate dall’autore ricordano infatti la Sarajevo dell’assedio e la Bosnia dilaniata dall’odio interetnico. Quattro trame narrative si intersecano: un gruppo di civili in fuga dopo la distruzione del loro villaggio, delle donne torturate dai militari che riescono a evadere, un uomo che torna a cercare nella fossa comune i corpi dei familiari massacrati, il monologo delirante e allucinato di un cecchino.

Un carretto? Spinto da un matto? L’uomo che ha attraversato la montagna per tornare con un mucchio di cadaveri può essere solo un demente. Un uomo anormale e pericoloso. Ho ucciso il messaggero. Ucciderò questo squilibrato con altrettanta prontezza. Sfinito, stravolto, si ferma all’incrocio delle strade devastate. Sua moglie, incinta di molti mesi, appare davanti alla loro casa in rovina. Gli fa un segno con la mano. Piange. Singhiozza. Senza l’arrivo di suo marito, quella scrofa non sarebbe mai uscita dalla loro tana! (…) Fra qualche secondo si slancerà verso il suo caro sposo. Che le falcerò davanti agli occhi (prima che non se lo abbracci). Ma stiamo calmi. È lei, la mia vera preda. La donna incinta. L’emblema della vita. Suo marito ucciso è solo un morto in più. Niente che possa colpire i sopravvissuti. Mi ci vuole un’altra ecatombe. Sacrificare quello che non è stato sacrificato. Un moccioso fracassato al momento della nascita, una donna incinta uccisa, ecco quello di cui abbiamo bisogno. L’orrore allo stato puro!

Libro violento, scandaloso per le descrizioni talvolta insopportabili della crudeltà e della brutalità, Sniper sonda con furore e ferocia la frontiera che separa l’umano dall’inumano. L’autore utilizza frasi corte, secche, interrogative ed esclamative che rendono la lettura adrenalinica e creano alla narrazione un ritmo sincopato. A tratti insostenibile nella sua durezza, il romanzo mi ha ricordato un libro molto bello dello scrittore italiano Arturo Robertazzi, Zagreb (Aìsara Editore), di cui mi sono occupato un paio di anni fa. Entrambi i testi passeggiano pericolosamente sul confine che separa l’umano e l’inumano, conducono i lettori a una prova di forza con la propria capacità si sopportazione senza mai sfociare nella provocazione fine a se stessa. La critica francese, alla sua uscita, ha salutato Sniper come un romanzo dallo stile forte ed efficace, che tocca il cuore stesso del nostro rapporto contemporaneo all’orrore.

Pavel Hak è nato nel 1962 ed è uno scrittore francese di origine cecoslovacca, che ha deciso di abbandonare il paese di nascita per motivi politici nel 1984. Nel 1986 si è trasferito a Parigi, dove ha ripreso gli studi universitari alla facoltà di filosofia della Sorbona, dove si è laureato nel 1991. Nel 2001 ha pubblica il suo primo romanzo, seguito da altri quattro e da un testo teatrale. Ha ottenuto riconoscimenti prestigiosi, come il Prix Wepler (2006) e la borsa Cnl (2010) ed è stato tradotto in inglese, tedesco, finlandese, ceco. Sniper è il primo romanzo tradotto in italiano.

Lorenzo Mazzoni